“Durante l’epoca vichinga, una ragazza bionda vestita di bianco segue un sentiero di rune incise in candide pietre incastonate nella terra che conducono nelle profondità di un lago, verso colei che chiamavano la Dea Serpente. La giovane scrisse un messaggio con le rune sul terreno seguendo gli insegnamenti della Dea, e infine, le fu mostrata una caverna oscura, in pietra vulcanica”.
Alla scena furono aggiunte tali parole:
“Sono cose che hai vissuto in una vita passata, è raro che le ricordi”.
La visione che vi ho riportato risale al 9 aprile 2024, e proprio grazie ad essa cercai un legame più approfondito tra Hel e la Dea Serpente.
Il serpente possiede una ricca simbologia che lo connette alla terra e alla natura, striscia tra le radici, si rintana nel sottosuolo e nuota nelle paludi, il suo veleno ha il potere sia di avvelenare sia di guarire. Anticamente erano ritenuti dispensatori di arti divinatorie e simbolo di rigenerazione, grazie alla loro capacità di cambiare pelle. Inevitabile fu l’associazione con la Grande Dea Madre, di cui rappresentava i principali aspetti: nascita, sviluppo, morte e rigenerazione.
Furono creati rituali e oggetti votivi per la Dea Serpente, raffigurata con arti serpentiformi e una sorta di corona o maschera. Solo in seguito la Grande Dea Madre fu connessa anche al simbolo della spirale, per rappresentare il suo legame con l’acqua, i fiumi e i laghi. Durante l’epoca preistorica, più precisamente nel paleolitico e neolitico, la figura femminile era posta al centro come creatrice, e la stessa Dea incarnava l’emblema del culto della vita e della sua continuità.
Nel periodo di transizione dalle comunità gilaniche a una società basata su un modello patriarcale, il maschile richiedeva una legittimazione femminile per governare e poichè il culto della Dea arcaica era ancora radicato nella mente della popolazione, nel 3100 a.C. il faraone era considerato l’incarnazione delle due Signore, Wadjet, la Dea serpente, simbolo del Basso Egitto e Nekhbet, la Dea avvoltoio, simbolo dell’Alto Egitto. Queste due dee erano entrambe manifestazioni della Dea arcaica.
La Dea dei Serpenti, nominata anche Dea Madre Cretese, associata alla fertilità, alla vita, alla morte, al culto delle forze sotterranee e agli inferi, dal 3000 a.C. al 1200 a.C. circa era ancora adorata nella civiltà minoica.
Nell’antica società romana, che risale a un precedente matriarcato e ancor prima a un’originaria religione animistica, i Lari erano venerati nel culto domestico, i morti erano in grado di manifestarsi in forma di serpente, un animale connesso al mondo sotterraneo, e considerati come la personificazione dei defunti antenati. I Lares Compitales erano i protettori della famiglia e guardiani, figli di Lara, un'antica Dea Madre declassata a ninfa e conosciuta anche con il nome di Mania, divinità di derivazione etrusca che governava il mondo dei morti, ritenuta madre dei non-morti, dei fantasmi o altri spiriti della notte, così come madre dei Lares e dei Manes. Persino in Lituania i serpenti, visti come i guardiani della casa, rappresentavano gli antenati ed erano il ponte con la Dea Laima, divinità del fato e della nascita.
Dal Matriarcato al Patriarcato
I serpenti furono venerati per tutta l’era preistorica, ma durante l’epoca Indo-Europea questo animale iniziò ad assumere anche poteri ostili e la sua figura si combinò con quella del drago o con mostri pericolosi per gli uomini e gli dèi.
In età vichinga, il serpente come il lupo, acquisisce una connotazione rovinosa, inaspettatamente però, tra le più famose pietre runiche possiamo osservare che sono proprio i serpenti a contenere le iscrizioni, come nelle pietre runiche di Ingvar, di Mariefred e di øpir.
Tra il V e il III millennio a.C. accadde uno sconvolgimento culturale a seguito delle invasioni delle tribù Kurgan in Europa, come dimostrato dalle richerche di Gimbutas. L’Europa era occupata da comunità pacifiche, matriarcali, legate alla Natura e al culto della Dea, ma dal V millennio a.C. dalle pianure meridionali della Russia, giunsero le tribù Kurgan, tribù guerriere, disposte intorno a un dio del tuono che glorificava la forza, la conquista e la guerra. Il loro simbolo era il cavallo che diventò un’arma nelle loro incursioni e il loro dio risiedeva nel cielo, ed era associato al sole e all’oro, emblema di potere e sacralità. Tutto ciò lo troviamo narrato simbolicamente nel mito di Medusa: dopo essere decapitata da Perseo, dal suo collo reciso nascono Pegaso, un cavallo alato e Crisaore, un guerriero dalla spada d’oro.
Questo mito ci parla di una transizione del potere, la cultura patriarcale imposta dai Kurgan non poteva coesistere con le comunità legate al culto della Dea, quindi la Dea doveva morire affinchè potesse sorgere un nuovo ordine, fondato sulla guerra, sul dominio e sulla verticalità.
Medusa diventa quindi un simbolo da distruggere, ma non fu la sola: ogni volta che si doveva detronizzare la Grande Madre, si uccideva un serpente o un drago, simbolo della Dea Madre Terra. Pensiamo a Ercole che stritola due serpenti in culla, Apollo che uccide il drago-serpente Pitone, Thor, il dio del tuono, destinato a uccidere il serpente marino che circonda il mondo Jǫrmungandr, la babilonese Tiamat, madre di tutto il cosmo, dea primordiale degli oceani e delle acque salate, rappresentata come un drago o un serpente marino, uccisa dal Dio Marduk e più recentemente San Giorgio che uccide il drago.
Gradualmente la Grande Madre fu eliminata dalla storia e il serpente nella religione cattolica divenne il simbolo del demonio.
La Dea del Silenzio
Vidi Hela, oltre il cancello di ferro battuto e con la spalla poggiata alla colonna di un arco, sul muro alla mia destra vi era una targa di marmo scolpita da tali parole: “Il serpente è silenzioso quando arriva”.
(estratto dalla nota “Cancelli di Hel” del 23/02/24)
A Roma come in Egitto e Grecia, da sempre il silenzio è stato correlato alla sfera religiosa, difatti svelare gli arcani, significava devastare l’assetto del mondo socio-politico antico, basato anche sui rituali Misterici praticabili da sacerdoti e pochi eletti.
Il serpente in Egitto era collegato alla Dea Madre arcaica e possedeva un legame con il silenzio, associato alla morte. Mertseger, la Dea-cobra, il cui nome significava “colei che ama il silenzio” oppure “colei che ama colui che produce silenzio” (alludendo a Osiride), era la protettrice della necropoli di Tebe e alcuni dei suoi epiteti erano: Divina Madre e Grande Madre, Signora di generazioni e di innumerevoli manifestazioni, Grande di magia e Signora del palazzo, assimilabile ad Hathor nell’appellativo di “Signora dei morti”.
La dea sabina Vacuna, dalle arcaiche origini, associata al vuoto, alla meditazione e al silenzio, possedeva anche un legame con le acque che la rendeva una dea della guarigione e dalle molteplici caratteristiche.
A Roma, Lara o Mania erano associate a Tacita Muta, la Dea del silenzio connessa ai Misteri che richiedevano assoluta segretezza e agli inferi. Lara per i romani era la divinità della maldicenza e del silenzio eterno, in altre parole della morte. Sempre restando in Italia, Angizia, Dea dei serpenti, della guarigione, della magia e della fertilità, venerata dai Marsi e i Peligni dell’Abruzzo, fu assimilata dai romani ad Angerona, dea del silenzio. Il suo nome potrebbe derivare dalla radice etrusca “Ancaru” a indicare una Dea della morte. Il suo silenzio indicava però la meditazione e la concentrazione, collegata anche alla Dea della fertilità Opi e a Tacita Muta, la Dea degli inferi. Angerona aiutava il Sole a riprendere la sua forza con la sua voce interiore e gli incantesimi. La sua festività, Angeronalia, cadeva il 21 dicembre, durante il solstizio d’inverno, a Yule, come la germanica Holda, assimilabile alla norrena Hel.
“Sabina era il tuo nome in un’altra vita” afferma Hel.
(estratto dalla nota “Tu sei Sabina” del 29/03/25)
Il nome “Sabina” in latino significa “abitante della Sabina”, un’antichissima regione dell'Italia centrale abitata storicamente, dai Sabini, una popolazione pre-romana indoeuropea di ceppo osco-umbro e queste terre possiedono ricchi insediamenti preistorici risalenti al Paleolitico. Secondo Plutarco e Dionigi, i Sabini discendevano direttamente dagli Spartani e avrebbero sottratto la capitale Lista agli Aborigeni, stanziati in questi luoghi dal Neolitico.
I Sabini consideravano sacro e divino ogni aspetto della vita e delle forze della natura, di cui gli dèi ne tutelavano una o più fasi, possedevano una profonda religiosità, da cui derivavano l'obbedienza alle leggi e l’onestà morale, Cicerone affermava che a Roma era consuetudine fingersi Sabini per guadagnare la pubblica stima e ottenere consensi.
Dee Madri Sabine
Il Pantheon sabino possiede due dee femminili e complementari come divinità principali, connesse entrambe alla natura e alla fertilità: Vacuna la Dea Madre da cui tutto discendeva (compresi gli dèi) e Feronia, dea del fuoco e del risveglio primaverile, la manifestazione visibile associata al semestre luminoso e solare, ma finita l’estate e celebrato il raccolto, il Sole sprofonda nel sottosuolo, nel mondo della morte e della rinascita, dove Vacuna lo sostiene nei sei mesi oscuri.
Vacuna manifesta l’archetipo del vuoto primordiale, l’immenso e caotico spazio da cui tutto riemergerà luminoso e rinnovato. Mentre Feronia danza sul fuoco, Vacuna porta il dito indice alla bocca per invitarci a comprendere il movimento, nella vacuità e nel silenzio.
Feronia:Triplice Dea Connessa ai Tre Mondi
Feronia, secondo la mitologia romana, era la dea delle acque sorgive e della fertilità, comprendendo sia il suolo sia la feritilità umana e animale. Era la dea delle ancelle e dei liberti, la protettrice degli schiavi liberati e di tutto ciò che dal sottosuolo esce alla luce del sole, inoltre fu associata alla magia e alla purificazione, ai riti di passaggio e alla guarigione, identificata con gli animali di potere, come il serpente, il lupo, la capra e il picchio rosso, inoltre, come Artemide Efesina era nominata “Signora delle fiere”.
Possedeva una forte relazione con l’acqua e il fuoco, con le paludi, i fiumi e la montagna, ma anche con l’oltretomba.
“Dea Agrorum et Inferorum”
Questo termine latino indica che fu una dea connessa a funzioni che riguardavano sia il mondo terreno, sia quello infero. Il suo mito contiene elementi “misterici” affini a quelli di Kore-Demetra-Persefone. Feronia era anche patrona della prostituzione sacra, parzialmente assimilabile all’etrusca Phersipnai e all’ellenica Persefone, identificata anche con la divinità etrusca Cavatha, una dea legata al sole, un’entità sotterranea e celeste allo stesso tempo. Cavatha formava una coppia divina con Suri, un Apollo infero assimilabile per taluni aspetti al dio greco Ade.
La dea Feronia, inizialmente celebrata dai popoli italici del centro-Italia come Sabini, Falisci, Latini, e Etruschi, fu adottata in seguito anche dai Romani. Fu probabilmente una “triplice dea” (madre, vergine e anziana) connessa ai tre mondi (terra, inferi e cielo), il suo culto si attestò in luoghi sacri di divinità più arcaiche a lei analoghe. Il suo archetipo richiama, infatti, antichissime origini e il suo culto affonda le radici nella preistoria, non a caso i suoi luoghi sono limitrofi a quelli dell’antico dio-lupo, Apollo Soranus, in etrusco Suri, di cui era considerata da alcuni la paredra.
Vacuna: Grande Madre Alata, Acquatica e Ctonia
La dea Vacuna possiede origini arcaiche legate alla cultura osco-umbra e presumibilmente ai Greci di Sparta, associata alla fase finale del raccolto, al riposo e al vuoto che segue l’attività, la dea potrebbe essere giunta in Italia con i Pelasgi. Agli inizi di dicembre si celebravano i Vacunalia, festività di cui si conosce poco, ma nei “Fasti”, Ovidio, trova un legame tra il culto di Vacuna e il rituale compiuto delle Vestali.
Gli autori classici, romani e greci, la indicavano come: antica, tenebrosa e misteriosa.
Il suo santuario, come descrive Ovidio, era in rovina, fatiscente e abbandonato, inoltre la Dea era pure muta. Il silenzio, suo principale attributo, la pone quindi in relazione con il culto degli antenati, con il mondo dei morti e con la metà oscura dell’anno, siamo dinanzi a una divinità antichissima e oscura. Le erano cari gli alberi, le colline e le acque fredde in tutte le sue forme (pioggia, sorgenti, laghi), risaltando così le proprietà oracolari e divine dell’elemento acquatico.
Il legame con le acque e i boschi, così come l’espressione latina “vacare” (svuotare, liberare, purificare) indicano una dea guaritrice, capace di risanare luoghi e persone, estirpando malattie e veleni. Il suo culto aveva luogo all’aperto, presso piccoli altari allestiti nei boschi o nelle grotte, ma apprezzava anche i templi e i santuari.
“Vacuna in Sabinis dea sub incerta specie est formata” (Vacuna è una dea dei Sabini che ha una forma incerta) - Orazio
La citazione indica che Vacuna, nonostante la definizione di “madre degli dèi” è un’entità misteriosa e sfuggente, una visione effimera segnata dal silenzio e dalla nebbia. Plinio la definisce “silenziosa e incorruttibile”, mentre Numa Pompilio e Plutarco la nominano “Tacita” o “Muta”. Frazer, in base allo studio dei riti di passaggio, sviluppa il tema del vuoto riempito da un rinnovamento, portando così alla luce i poteri di rigenerazione della dea, mentre George Dumézil accoglie il concetto di vacuum e di vacuitas (assenza, vuoto) di Ovidio, costatando che Vacuna era invocata per far si che un’assenza riguardante una persona cara per guerra, viaggio o malattia, non finisse male. Dumézil spiega inoltre che al contrario dei Sabini e altri popoli indo-europei, i quali mostravano una forte enfasi sulla sacralità dell’acqua, i Romani, non avrebbero sviluppato i culti associati a questo elemento e perciò nonostante il culto di Vacuna fosse radicato, era comunque poco compreso.
L’acqua è anche l’elemento che più si associa ai viaggi interiori, difatti le pratiche meditative risaltano il vuoto e la vacuità: quando la mente è liberata, svuotata e purificata, il praticante può accedere alla propria verità interiore.
L’essenza di Vacuna esprime a pieno lo stato mentale del viaggiatore sciamanico, è quindi probabile che il suo culto includesse anche pratiche sciamaniche, con annesse forme di accesso all’inconscio.
I romani la identificavano con Victoria, richiamando però una “vittoria” più vegetativa che militare e raffigurandola come una giovane donna alata, collegandola così agli aspetti della Grande Madre alata, acquatica e ctonia, dominante in epoche arcaiche. Le ali ci indicano l’arcaicità del culto di Vacuna, infatti, le dee alate richiamano il tempo originario del pensiero religioso che associava il sacro femminile al cielo, al sole e alle stelle. Il cielo femminile era avvolgente, era sopra, sotto, ai lati e tutto intorno, non dualistico come quello introdotto in seguito dal patriarcato che oppone alto e basso, maschile e femminile, giusto e sbagliato, bene e male. Le ali di Vacuna esprimevano quindi anche il legame con le profondità arcane del ventre terrestre. Con i pochi dati in nostro possesso però non possiamo fare associazioni certe su Vacuna.
Ecco una vecchia decrepita che siede in mezzo a fanciulle:
celebra un sacrifizio a Tacita, ma ella tace a stento,
e con tre dita dispone tre grani d’incenso sulla soglia
dove un piccolo topo s’è aperto un passaggio segreto;
poi con parole magiche lega dei fili a un oscuro fuso,
e fa girare nella sua bocca sette fave nere.
Indi brucia al fuoco la testa d’una sardina che ella
cuce trapassandola con un ago di bronzo e rivestendola di pece;
vi versa anche vino: e ciò che resta del vino
o lei o le compagne lo bevono, ma più ne beve lei.
“Ho legato le lingue nemiche e gli sguardi malevoli”,
dice la vecchia allontanandosi, e se ne va ubriaca. – Ovidio, Fasti, II, 571-582
La storica Maria Concetta Nicolai afferma che i versi del poeta, pur non essendo esplicitamente collegati a Vacuna, racchiudono tutti i tratti distintivi che associano la Dea sabina alla romana Tacita. Nel rituale riportato da Ovidio, la presenza del fuso e delle fave richiama una tipologia di magia puramente femminile. Le fave (sotto forma di dolci) nelle tradizioni di molte culture sono associate ai morti e il fuso, nel mondo indoeuropeo, è un simbolo che collegava i vivi con gli inferi e altri mondi.
Il folklore europeo è ricco di aneddoti riguardanti filati ultraterreni. Gli Ittiti credevano che un gruppo di esseri, i Kattereš, filassero i destini dei re dagli inferi. Per i Greci, i defunti erano trascinati nell'Ade tramite i "lacci della morte” e nella letteratura norrena esiste una menzione sulle "corde di Hel”. Il fuso fungeva da chiave persino per il regno di Holda o Frau Holle, com’era conosciuta in Germania, associata a numerose dee come Herke, Perchta, Freya, Frigg, Holda, Holle, Hulda, Hel e via discorrendo.
Una Dea da Fiaba
Holda/Frau Holle è una dea germanica delle arti domestiche, con il compito di premiare le donne operose e punire quelle pigre, ritenuta la protettrice dei bambini, della famiglia e degli animali domestici. Descritta come una figura regale con lunghi capelli dorati o argentei/bianchi mentre indossava un abito color neve e una corona di ramoscelli intrecciati sulla testa, raffigurata sempre con le chiavi alla cintura, emblema della padrona di casa; apprezza il pane a forma di treccia come offerta, chiamato in tedesco “Hollenzopf” (treccia di Holda). Poteva apparire giovane e bella oppure come una vecchia strega, si credeva che accogliesse le anime dei bambini defunti e viaggiasse come un'anziana signora su un carro, affiancata da una sfilata di anime di bimbi morti.
Nella fiaba tedesca “Frau Holle" dei fratelli Grimm, è narrata la storia di due sorellastre, una brutta e pigra, mentre l’altra bella e laboriosa, entrambe scendono in un pozzo per recuperare un fuso, giungendo così nel cuore della terra, in altre parole, gli inferi.
Si ritrovano in un prato bellissimo e superato un breve viaggio con annesse prove, compare Frau Holle, una vecchia signora gentile con denti grandi che aveva bisogno di aiuto nei lavori domestici. Alla fine, la giovane laboriosa per il duro lavoro offerto alla donna, torna a casa ricoperta di ricchezze, mentre la ragazza d’indole pigra è rimandata indietro ricoperta di nera pece.
Raggiusi una sala con un lucido pavimento azzurro e pareti bianche, porte blu si aprirono lasciando uscire persone che mi accolsero con affetto, poi noto in lontananza una giovane donna con capelli argentati e abito bianco, si avvicina e mi afferra delicatamente le braccia e dice:
“Ora possiamo stare insieme per sempre”
“Sono a Helheim?” chiedo.
Sorride. “No, Helheim non c’è più da tanto tempo ormai”.
“Sono morta?”
“La morte per te è un problema?” ribatte.
“No, la morte è una trasformazione”rispondo.
Alla donna spuntò un sorriso compiaciuto sul volto, prima di svanire insieme alla sua sala.
La donna era la dea Hel.
(estratto dalla nota “Helheim non esiste” del 08/09/24)
Il nome “Holle” è legato alla parola Halja, che significa "Mondo Sotterraneo", l'antico nome teutonico di Hel: il regno norreno dei morti.
Holle alle volte è chiamata “la Regina dei Morti” ed è risaputo che risieda sotto la terra o nelle profondità degli stagni, infatti, per scrivere la famosa fiaba, Jacob Grimm consultò vari atti medievali attestanti le origini di Holle come dea precristiana, antica divinità germanica e nordica della fertilità, connessa alla Madre Terra (inteso come luogo dove erano adagiati morti).
Frau Holle: Dea Germanica dell’Oltretomba
Lo storico Karl Kollmann, grazie alle prime fonti scritte su Frau Holle, è certo che si tratti di una figura molto più antica, derivante da un’interpretazione regionale di una dea femminile della Terra venerata in ogni dove, ma con diversi nomi. Per Kollmann è una delle innumerevoli rappresentazioni del femminino sacro che vediamo fin dall’origine della storia.
Frau Holle è Hulda, il mistero stesso, la segretezza, colei che è nascosta. Compare in diverse forme all’interno della mitologia e della leggenda scandinava, è associata alle piante sempreverdi del periodo invernale e alla nevicata, si narra, infatti, che sia proprio lei a scuotere i materassi di piume d’oca per far nevicare.
Frau Holle, in tempi antichi, era venerata soprattutto negli anfratti delle montagne e negli stagni. Si credeva, infatti, che vivesse in prossimità di corsi d’acqua o sorgenti, inoltre presso il massiccio Hoher Meissner si trova lo stagno della Dea, attraverso il quale si narra di poter accedere al suo regno, l’oltretomba.
Frau Holle è l’incarnazione della terra, del sottosuolo, di cui è la regina, legata alla morte e ai defunti, è una dea della rinascita, poichè si credeva che sia lei che i morti propiziassero la fertilità. L’archeologa Marija Gimbutas e la ricercatrice Heide Göttner-Abendroth, fanno risalire il divino femminile della terra e delle acque al Neolitico, quando si credeva nel ciclo naturale dell’esistenza e la morte non era vista come una fine, ma come una fase di riposo prima di una nuova vita: I defunti ritornavano nel grembo oscuro di Madre Holle, Dea della Morte e della Rigenerazione, in attesa di rinnovamento e rinascita, proprio come i semi nelle profondità della terra durante l’inverno che attendono la primavera per germogliare.
Il “riposo e il vuoto che precede un’azione”, lo ritroviamo anche nelle competenze destinate alla dea sabina Vacuna, di arcaiche origini e approfondita in precedenza.
Hulda: Madre Terra Preistorica
I cristiani Franchi, verso il X secolo idearono una devastante propaganda contro le “credenze diaboliche” e “donne malvagie” nominate così nei testi medievali, secondo i quali queste donne di notte, accompagnate da creature e bestie spettrali, cavalcavano con Erodiade (la strega più popolare del tempo) o Diana, percepita durante l’alto Medioevo come la dea dei pagani.
Nell’Europa settentrionale però, queste “streghe” cavalcavano attraverso il cielo notturo insieme a Holle o Holda, probabilmente ancora conosciuta in quel periodo come Hulda, la dea equivalente a Erodiade o Diana.
Hulda guidava l’orda furiosa degli spiriti durante i mesi invernali, più precisamente tra Samhain, la notte più lunga, fino a Yule, quando la luce inizia gradualmente a tornare nel mondo.
Frau Holle, come la dea gallese Cerridwen, è la Madre Terra primordiale, figura legata agli inferi, signora della morte, dell’iniziazione e della rinascita, probabilmente originariamente conosciuta come Hulda, una dea precedente al Pantheon norreno e germanico.
Un hulder o huldra, nel folklore scandinavo è una creatura femminile, o spirito della foresta, che curiosamente possiede la stessa radice etimologica di Huldra, il cui significato è “coperto, segreto, nascosto”. In Islanda, i coloni norvegesi portarono con sé molte delle loro antiche tradizioni, tra cui la credenza pagana del popolo nascosto, l’Huldufólk, che è poi rimasta radicata nel folklore islandese.
L’Huldufólk è la fusione tra l’Álfar norreno, ovvero gli elfi percepiti come entità spirituali che risiedono all’interno della terra, legati al tumulo funerario e le credenze degli schiavi irlandesi sulle fate delle colline o “good people”.
Questi termini e tradizioni si riferiscono tutti a qualcosa che è nascosto o segreto, riportandoci a un passato preistorico in cui le entità spirituali erano celate nel sottosuolo, abitando le colline o i tumuli funerari.
Frau Holle o Hulda nelle sue funzioni è analoga alla dea norrena Hel, il cui nome proviene dalla parola gotica “Helja” e dall’alto tedesco antico “Hella”, traducibile come “Oltretomba o Mondo Sotterraneo”. L’essenza stessa della parola rimanda all’idea di occultamento, segreto e nascosto. L’oltretomba è un luogo dell’aldilà, nascosto sotto la terra, nell’oscurità e nella segretezza, dunque questi termini suggeriscono una connessione con la terra o con il sottosuolo, e siccome si pensava che i morti propiziassero la fertilità del terreno, questo ci fa capire anche la connessione tra rinascita, fertilità e morte nella figura di Frau Holle.
Il regno del popolo nascosto, che fossero le fate delle colline degli irlandesi, gli lÁlfar degli scandinavi o gli Huldufólk degli islandesi, risiedeva nella terra sotto i nostri piedi, negli inferi. Si pensava che gli spiriti dei morti non morissero, ma subissero una trasformazione nella terra, all’interno del tumulo funerario, diventando il popolo nascosto e propiziando così la fertilità del terreno. Frau Holle era la personificazione di queste entità spirituali e credenze del culto dei morti legato alla fertilità, lei è la regina degli inferi e del popolo nascosto, è Hulda, la segretezza di ciò che giace nel segreto e celato negli oscuri recessi della terra.
La morte che proprizia la fertilità e la rinascita, rende Frau Holle una dea della vita e della morte. Hulda/Holle, per i norreni era descritta come Hlóðyn, la madre del dio Thor, chiamata anche Jǫrð, la terra stessa. Grazie a tavolette votive romane, ritrovate nel Basso Reno dedicate alla dea, si ritiene che fosse identica a Hludana.
La Dualità di Hulda e Hel
Hulda è una dea pre-indoeuropea appartenente alle culture matriarcali dell’Europa centrale, è la dea primordiale e preistorica della terra che ha dato origine a Frau Holle e Hel.
Grazie alla diffusione degli Indoeuropei in Europa, Hulda acquistò una dualità fisica per l’accostamento con Kolyo, la loro dea della morte. L’introduzione e lo sviluppo del culto indoeuropeo portarono a una società patriarcale connessa agli “dei maschili del cielo”, come ritroveremo anche nella cultura greca classica o nel mondo ellenico; la figura della donna saggia (incluse sacerdotesse e dee) fu rovinata e danneggiata, influenzando la visione Romana, che condizionò in seguito anche il Cristianesimo.
Dal X secolo in poi, l’arcaica Dea europea della terra con le caratteristiche fisiche duali della dea della morte indoeuropea, fu trasformata in una creatura orribile per scoraggiare i pagani dal venerare le antiche dee, instillando così il timore dalla “dea delle streghe”. Nel XIII secolo, Snorri Sturlluson nella sua Edda in Prosa, conservò l’usanza di una dea degli inferi deforme, influenzato non solo dalla chiesa cattolica, ma anche da opere letterarie cristianizzate dell’antichità classica. Snorri, infatti, s’ispirò probabilmente alla dea greca Mesperyian, la figlia di Ade. Si narra fosse persino più bella di afrodite e lei in un atto di gelosia le bruciò il volto, lasciandole metà del viso bruciato, deforme e nero. Hel è dunque la Mesperyian di Snorri, perciò fu definita “figlia di Loki” che egli equiparava ad Ade e Lucifero, entrambe entità infernali.
La Peste Nera, in base alla Chiesa cristiana, era una punizione divina portata dai pagani, dalle streghe, dagli ebrei e dai sodomiti che vivevano nel peccato. Tutti i mali del mondo furono associati a questi elementi della società (o ad altre minoranze) e le “dee streghe” medievali furono rappresentate deformi, come le descrizioni cristiane sui “demoni di Satana”.
La duplicità fisica di Hel, mezza marcia e mezza viva, risale dunque a Hulda, associata dai cristiani del X secolo alla “dea delle streghe del nord” e questa immagine rimase incisa nella figura della dea Hel, quando nel XIII secolo Snorri Sturluson sostenne la visione cristiana medievale. Hulda invece, nella forma di Frau Holle/Holda ruscì a fuggire a questa demonizzazione grazie all’inclusione dei suoi culti della fertilità nel Sacro Romano Impero, che in seguito furono cristianizzati e incorporati nelle feste cristiane, equiparando Holle a Madre Celeste o Madre Maria.
Hel non perse mai quella forma e la sua metà marcia divenne nera, associata alla deturpazione della malattia, proprio come faceva la Peste Nera.
L’immagine duplice di Hel, potrebbe non essere stata solo una demonizzazione della sua figura per dissuadere i pagani dal venerarla, ma la dea anticamente avrebbe veramente posseduto due lati, certamente non decomposta e viva, ma piuttosto bianca e nera.
Il colore nero, per i pagani europei, infatti, non era il colore della morte, ma della terra, era la tonalità dei terreni europei, il nero rappresentava la fertilità e il bianco invece era il colore della morte, la tinta del cadavere, legato alla rinascita e alla luce, ma anche all’inverno.
Holle, dea della morte e della rigenerazione, era difatti associata all’inverno e al bianco, accanto ai morti erano poste piccole statuette bianche raffiguranti la dea, affinché accompagnasse il defunto nel suo viaggio di rinascita. La dea non era temuta o considerata malvagia, ma era vista come benevola e generosa.
La Caccia Selvaggia di Hulda
Frau Holle e Hel sono al contempo Dee della terra, della vita e della morte, la duplicità nei loro aspetti rappresenta la luce e l’oscurità, il giorno e la notte, la creazione e la dissoluzione. Luce e ombra che riflettono i mesi più bui dell’anno, periodo nel quale la dea regna e guida gli spiriti ancestrali nell’orda furiosa attraverso i cieli. Dopo l’introduzione delle divinità celesti indoeuropee, la figura del “vecchio saggio” pre-indoeuropeo fu assunta da Wodanaz/Odino, dio della morte e dell’ispirazione che assunse il ruolo di capo della caccia selvaggia, ma in un passato più arcaico Hulda o Hel ricoprivano questo ruolo. In molte parti della Germania, infatti, è ancora nominata “Heljagd” che significa “caccia di Hel/ caccia nascosta /caccia degli inferi” (Inteso come oltretomba). Hulda in alcune parti della Germania non è mai stata dimenticata come capo della cavalcata del crepuscolo ed è plausibile che non fosse un cavallo ciò che cavalcava, ma ne parleremo più avanti.
Kolyo: Dea della Morte
Hulda deriva dalla dea indoeuropea della morte Kolyo, il cui nome significa “la protettrice”, “colei che copre” o “nasconde” e racchiude la stessa radice di occultamento. La dea possedeva una forma fisica che incarnava l’emozione verso la morte, il fascino e l’orrore, infatti, si credeva che Kolyo fosse bellissima se vista di fronte, ma sulla schiena era ripugnante. Quest’immagine, oltre a ricordarci Hel, è simile anche all’Huldra scandinava, una seducente creatura della foresta il cui nome deriva dalla radice "coperto" o "segreto" suggerendoci anche in questo caso l’idea di occultamento. Viene rappresentata come una giovane donna d’incredibile bellezza, con lunghi capelli che le nascondono la schiena fatta di corteccia, incavata come il tronco di un vecchio albero. La fessura nella schiena riporta ai luoghi cavi della terra, le grotte che conducono nel sottosuolo e che nella preistoria furono i primi santuari umani. L’idea di mondo sotterraneo in cui risiedono i morti, potrebbe quindi derivare proprio dalla disposizione dei corpi nelle grotte: l’occultamento del defunto in una grotta, un luogo sacro e celato nell’oscurità che conduce sotto la terra, negli inferi.
Frau Holle/Hulda è dunque legata alla terra, alla morte, alla fertilità e alla rinascita dei terreni, ma nel folklore è talvolta associata anche alle nevicate invernali, la sua stagione si trova, infatti, nei mesi più oscuri e freddi dell’inverno, dove la neve brucia la terra, portando la morte. Si dice che quando Frau Holle scuote i suoi materassi, piume bianche cadono a terra, ciò potrebbe non solo riferirsi alla neve, ma anche alle piume delle oche.
L’importanza dell’Oca
L’uccello sacro di Frau Holle è l’oca, una creatura di grande rilievo nel folklore scandinavo. In inverno, durante il loro periodo di migrazione, si pensava che nello spiccare il volo, le oche facessero cadere fiocchi di neve dalle loro ali e inoltre il loro gracidio notturno durante la migrazione, fu associato agli ululati spettrali dei lupi, all’abbaiare dei cani e al nitrito dei cavalli della caccia selvaggia.
Le comunità sciamaniche delle antiche religioni non usavano il cavallo come animale totemico durante la cavalcata negli inferi, ma l’oca, difatti, le antiche regioni mantennero molte delle credenze legate all’originale mondo sciamanico, dove il significato religioso del cavallo era effimero. I Sami, infatti, nella loro cultura preistorica non avevano l’usanza del cavallo e non era dunque associato a un motivo religioso come invece lo erano l’alce e le oche; anzi quando il cavallo fu integrato per via dei loro vicini norreni, divenne un animale temuto e detestato, poiché non solo era il loro mezzo di trasporto e simbolo religioso, ma anche l’animale del violento culto di Odino che i Sami associavano al loro dio della malattia e della morte, Ruto.
I Sami, fecero propri alcuni degli aspetti religiosi norreni, come il culto di Odino, grazie a ciò Ruto, il loro dio, prese gli attributi di Odino, iniziando così a cavalcare un cavallo. Il cavallo è un simbolo molto importante per gli europei costretti ad adottare i concetti religiosi indoeuropei, ma nelle regioni artiche tali concetti arrivarono con fatica e le concezioni religiose Indoeuropee raggiunsero queste terre remote, solo durante l’età del ferro, perciò nell’artico si conservò meglio la visione del mondo sciamanico pre- indoeuropeo ed ecco spiegato il perché per questo persone il cavallo assume poco significato.
L’oca, in questi luoghi non ha mai smesso di essere l’animale totemico che gli sciamani artici cavalcano per raggiungere il mondo sotterraneo e la terra degli spiriti, Frau Holle ancora connessa alla figura dell’oca ed è la regina degli inferi. Lei è dunque Hel, la Madre Terra e custode dei morti, colei che copre, che avvolge e protegge i morti. Questa figura materna custodisce sempre i suoi figli nel suo grembo terreno, anche dopo la morte.
Nel grembo di Madre Terra
Arcaiche e preistoriche, forse pre-indoeuropee sono le origini di Frau Holle, la Madre Terra degli inferi e custode dei morti, è una dea potenzialmente appartenente al Paleolitico. Ci troviamo di fronte alla dea Hel o Hulda, divinità primordiale delle caverne, protettrice e custode dei morti, che secondo i concetti religiosi indoeuropei, si sarebbe fusa con la loro dea della morte, Kolyo, originando la popolare creatura scandinava, Hulder e la dualità negli aspetti fisici di Hel e Frau Holle.
Hulda (l’originale nome di Frau Holle), era un’antichissima dea pre - indoeuropea, avente il dominio sulla morte, sul freddo e sull’oscurità dell’inverno, sulle grotte, sulle tombe e sui sepolcri nella terra. Adorata durante l’età della pietra e in base al suo legame con le tombe terrene e i tumuli funerari, ancora venerata nel Neolitico, era nota per ricevere il seme fertile. Hulda è dunque l’ovulo fecondato che trasforma la tomba o il tumulo funerario, in un utero, per la gestazione di una nuova vita, collegando il tumulo alla rinascita.
Quest’arcaico concetto di grembo materno, morte e rinascita, lo ritroviamo anche in Egitto, infatti, all’interno dei sarcofagi, le immagini della dea Nut vengono affiancate da testi illustranti la sua funzione e in uno essi, la dea parlando al defunto dice:
“Tua madre terrena ti ha portato per dieci mesi [lunari] / ti ha nutrito per tre anni. / Io ti porto per un tempo indeterminato, / e non ti partorirò mai”
Nonostante quest’espressione sembra essere distante dall'idea di rinascita, simboleggia invece il concetto di morte come un eterno riparo, una restituzione e ritorno al grembo materno. Le dee madri, Iside e Hathor, sono spesso associate a Nut.
“Nut, divinità del cielo e dei morti, della bara e degli alberi, è la forma in cui si manifesta nell’antico Egitto la Grande Madre, che compare qui in una varietà di immagini forse senza pari e rappresenta a sua volta forse senza uguali nelle altre culture una figurazione della morte” - Jan Assman
Come afferma l’egittologo Jan Assman, la dea Nut è spesso identificata con il sarcofago stesso, una "Grande Madre" che accoglie i defunti dentro di sé per rigenerarli, diventando la tomba, la necropoli e il regno dei morti. In essa si manifesta tutto ciò che accoglie e da riparo al defunto, fornendogli aria, acqua e nutrimento. Nelle tombe del Nuovo Regno è illustrata mentre esce dal tronco di un sicomoro dando l’acqua della vita al defunto o offrendogli il seno per allattarlo, rappresentando il sostentamento del defunto grazie proprio alla Dea Madre.
Conclusione
Per concludere, la dualità tra vita e morte espressa in Hulda o Frau Holle, ci suggerisce una dea legata al ciclo della morte e della probabile rinascita. Quando a Yule i mesi invernali, bui e freddi iniziano a svanire, il Sole lentamente torna nel mondo e con esso sorge la nuova vita, questa è anche la conclusione della stagione di Frau Holle, dea complessa e dai molteplici aspetti, ma sicuramente collegata al serpente, simbolo della divinità femminile arcaica. La dea degli inizi, infatti, fu associata al serpente e persino oggi, nel paese di Hollstein, si ergono tre grosse pietre di roccia naturale, le Hollesteine (pietre di Frau Holle), dove si può osservare l’incisione di un serpente, sulla roccia più alta. Sfortunatamente però, con la cristanizzazione dell’Europa, Frau Holle cambiò volto.
L’arcaica dea della terra e dei laghi, regina d’inverno dai lunghi capelli d’oro e custode del mondo sotterraneo, che donò il sambuco agli abitanti della terra e che distribuiva regali il 6 gennaio, divenne un’infida megera che rubava i bambini alle madri e il lino alle tessitrici, una vecchia che portava la morte. Il termine tedesco “Hölle”, significa inferno e probabilmente deriva da Frau Holle, come il termine “Hell” proviene da Hel.
By Niki
Anno domini 2025
Fonti:
M. Tosi, Dizionario enciclopedico delle divinità dell'antico Egitto
Kenneth A. Kitchen, Il Faraone trionfante
Erich Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell'inconscio
Fritz Graf, La Magia nel mondo antico
Tröld*R, il Fjölkynngisbók. Magia, stregoneria e folk nord europeo